lunedì 14 settembre 2015

Pragmatismo e concretezza. Anche nelle differenziate



Il tema è caldo e ormai il dado è tratto. Parlo del cambio di sistema raccolta differenziata a Mira, con l’estensione del sistema “porta a porta” su tutto il territorio comunale. Scrivo della questione per fare alcune doverose precisazioni, essendo stato tirato in ballo da più amici e conoscenti miresi e limitrofi, sia per motivi diciamo “politici” che professionali, non essendo un segreto che di mestiere faccio il “geologo scoasser”. Preciso quindi, che:

  1. immagino che il lutto non si ancora stato elaborato da tutti, ma NON sono PIU’ consigliere comunale a Mira da due anni passati, c’è ancora chi mi attacca il discorso con “ti che ti xe in consiglio comunal…” 
  2.   La scelta di estendere il porta a porta è stata fatta da QUESTA amministrazione comunale e NON da VERITAS, che anzi avrebbe esteso il sistema dei cassonetti a calotta, che sta dando ottimi risultati in tutti i comuni veneziani che hanno adottato il sistema.

Ciò detto, a questo punto ribadisco la mia posizione, già espressa a suo tempo quando ero in consiglio. Ritengo che tale scelta dell’amministrazione sia stata errata, poiché frutto di una posizione ideologica, basata su una conoscenza parziale del tema “sistema di gestione rifiuti”, che non ha minimamente considerato la base di conoscenza del sistema esistente, ma che ha preferito adottare anima e corpo il sistema che era stato assurto a modello dal M5S, il famoso modello “VEDELAGO”. Orbene quel modello, di cui chi scrive ha spesso evidenziato delle lacune, ha portato il CENTRO RICICLO VEDELAGO al fallimento a dimostrazione che non è tutt’oro quel che luccica, ciò nonostante, l’amministrazione di Mira non ha fatto una piega, non ha ritenuto di porsi delle domande in merito ed è andata avanti. Oltre a questo l’amministrazione mirese, come molti per altro, è preda del pensiero unico sulle raccolte differenziate, frutto per altro di anni d’indottrinamento mediatico, ossia che il “porta a porta” sia L’UNICO sistema che possa garantire una buona differenziata. In realtà non è affatto così, i casi di studio sono moltissimi, molti sono i sistemi efficaci per conseguire l’obbiettivo di una alto livello di riduzione dell’indifferenziato, stradali, domiciliari, misti. Non esiste un modello unico, ogni realtà urbana ha le sue caratteristiche, e il sistema di raccolta va costruito in relazione alla situazione urbanistica-socioeconomica-demografica di un territorio, non che alla disponibilità impiantistica. Il gruppo Veritas ha l’indubbio vantaggio di poter governare la filiera dalla raccolta al recupero, applicando il mix più efficace tra sistema di raccolta e gestione recupero (nel sistema Veritas convivono più modelli di raccolta, segno inequivocabile di pragmatismo) elemento di grande pregio, e grandissimo vantaggio, che i comuni non colgono, però.  Nel caso mirese, l’esperienza maturata in comuni limitrofi, molto simili a Mira, dimostra l’efficacia del sistema a calotta. E su quella strada concretezza e pragmatismo avrebbero dettato di lavorare. Qui sta appunto un’altra questione. Io credo che i comuni dovrebbero dare al gestore obbiettivi di raccolta e di costo, indirizzi, magari anche tempistiche, la gestione operativa, le scelte tecniche devono essere lasciate al gestore, che in quanto tale ha cognizione delle ottimizzazioni e delle possibili migliorie, se non c’entra gli obbiettivi ne selezioni un altro. Purtroppo, invece, troppo spesso i comuni, si arrogano una competenza tecnica che non hanno e che una legge non ben scritta pare comunque riconoscerli, generando spesso gestioni schizofreniche o diseconomiche dei sistemi di raccolta.

mercoledì 9 settembre 2015

buone intenzioni conducono spesso a risultati catastrofici

Divulghiamo ritenendolo un interessante spunto di riflessione sulla politica d'oggi questo intervento del Procuratore Carlo Nordio.

Giustizia: Roma sotto tutela una scelta obbligata, l'onestà di Marino non basta


di Carlo Nordio
Il Messaggero, 28 agosto 2015

La fondamentale differenza tra Giustizia (intesa sia come etica sia come legalità) e Politica risiede nel fatto che la prima guarda alle intenzioni e la seconda ai risultati. Per la Giustizia uno stesso comportamento può essere criminoso o indifferente a seconda del proposito del suo autore: si può uccidere per odio, o per sbaglio, o per legittima difesa.
In politica questa differenza non vale: quello che conta è il risultato, che dev'essere conforme al programma avallato dagli elettori. In politica, come insegnava un saggio, niente ha più successo del successo.
La vicenda del Comune di Roma, con il sostanziale "commissariamento" del sindaco e del suo seguito, conferma questo principio. Nessuno ha infatti mai dubitato della personale onestà del professor Marino, e del suo fermo disegno di combattere l'immoralità e l'illegalità. Tuttavia nessuno dubita che questo progetto ormai rischi di fallire, e che l'attuale amministrazione non sia attrezzata a sufficienza per fronteggiare i problemi connessi alle attività delle formazioni mafiose esistenti, e alle possibili infiltrazioni di altre in vista del Giubileo.
La decisione del Governo è pertanto comprensibile, e forse anche tardiva. Tuttavia pone due problemi, uno di ordine generale, uno più specifico. Quello specifico riguarda, come è ovvio, la Capitale del Paese. Non sappiamo se il ridimensionamento del sindaco costituisca il verecondo surrogato di una traumatica destituzione, o il primo passo verso le urne, o la conseguenza di faide correntizie o altro. Resta il fatto che, per la prima volta nella storia, si assiste ad una sorta di tutela protettiva imposta dallo Stato a un'amministrazione locale.
Beninteso, il primo ha il diritto e il dovere di vigilare sulla seconda, attuando i controlli e gli interventi che ne impediscano gli errori e ne rimedino le inerzie. Ma questo è sempre avvenuto, appunto, attraverso rimozioni e sostituzioni, mentre ora si assiste a un'inedita curatela di sostegno di cui tra, l'altro, non sarà facile definire limiti e competenze. È, come si è detto, una scelta obbligata. Ma è una scelta che, in un sistema normativo gravato di ricorsi e sospensive rischia di complicare una situazione già caotica.
Il problema generale è forse meno urgente, ma certamente più serio. Esso consiste nel pernicioso pregiudizio, nato da tangentopoli e alimentato dalla ventennale polemica filo e anti berlusconiana, che l'onestà individuale, assistita da solenni esaltazioni moralistiche, costituisca requisito sufficiente per ricoprire efficacemente le più importanti cariche pubbliche. Ora, a parte il fatto che l'onestà non può limitarsi alla purezza del certificato penale, ma deve riflettere quantomeno la disinteressata devozione all'interesse collettivo, essa non garantisce, da sola, il conseguimento dell'utilità nella quale si sostanzia, come si è detto, la buona politica.
Con il risultato che, negli ultimi anni, abbiamo assistito a una proliferazione di candidati di commendevole probità, privi tuttavia della competenza e dell'esperienza idonee all'attuazione di un programma adeguato alle esigenze generali.
Purtroppo parte dell'elettorato, per comprensibili reazioni emotive, ha creduto in questo miraggio ingannevole, dimenticando che le buone intenzioni conducono spesso a risultati catastrofici. Perché le virtù del politico, come insegnava Gibbon, sono essenzialmente diverse: il cervello per comprendere, il cuore per risolversi e il braccio per realizzare. L'onestà, come l'intendenza, deve soltanto seguire.