Divulghiamo ritenendolo un interessante spunto di riflessione sulla politica d'oggi questo intervento del Procuratore Carlo Nordio.Giustizia: Roma sotto tutela una scelta obbligata, l'onestà di Marino non basta |
di Carlo Nordio
Il Messaggero, 28 agosto 2015
La fondamentale differenza tra Giustizia (intesa sia come etica sia
come legalità) e Politica risiede nel fatto che la prima guarda alle
intenzioni e la seconda ai risultati. Per la Giustizia uno stesso
comportamento può essere criminoso o indifferente a seconda del
proposito del suo autore: si può uccidere per odio, o per sbaglio, o per
legittima difesa.
In politica questa differenza non vale: quello che conta è il
risultato, che dev'essere conforme al programma avallato dagli elettori.
In politica, come insegnava un saggio, niente ha più successo del
successo.
La vicenda del Comune di Roma, con il sostanziale "commissariamento"
del sindaco e del suo seguito, conferma questo principio. Nessuno ha
infatti mai dubitato della personale onestà del professor Marino, e del
suo fermo disegno di combattere l'immoralità e l'illegalità. Tuttavia
nessuno dubita che questo progetto ormai rischi di fallire, e che
l'attuale amministrazione non sia attrezzata a sufficienza per
fronteggiare i problemi connessi alle attività delle formazioni mafiose
esistenti, e alle possibili infiltrazioni di altre in vista del
Giubileo.
La decisione del Governo è pertanto comprensibile, e forse anche
tardiva. Tuttavia pone due problemi, uno di ordine generale, uno più
specifico. Quello specifico riguarda, come è ovvio, la Capitale del
Paese. Non sappiamo se il ridimensionamento del sindaco costituisca il
verecondo surrogato di una traumatica destituzione, o il primo passo
verso le urne, o la conseguenza di faide correntizie o altro. Resta il
fatto che, per la prima volta nella storia, si assiste ad una sorta di
tutela protettiva imposta dallo Stato a un'amministrazione locale.
Beninteso, il primo ha il diritto e il dovere di vigilare sulla
seconda, attuando i controlli e gli interventi che ne impediscano gli
errori e ne rimedino le inerzie. Ma questo è sempre avvenuto, appunto,
attraverso rimozioni e sostituzioni, mentre ora si assiste a un'inedita
curatela di sostegno di cui tra, l'altro, non sarà facile definire
limiti e competenze. È, come si è detto, una scelta obbligata. Ma è una
scelta che, in un sistema normativo gravato di ricorsi e sospensive
rischia di complicare una situazione già caotica.
Il problema generale è forse meno urgente, ma certamente più serio.
Esso consiste nel pernicioso pregiudizio, nato da tangentopoli e
alimentato dalla ventennale polemica filo e anti berlusconiana, che
l'onestà individuale, assistita da solenni esaltazioni moralistiche,
costituisca requisito sufficiente per ricoprire efficacemente le più
importanti cariche pubbliche. Ora, a parte il fatto che l'onestà non può
limitarsi alla purezza del certificato penale, ma deve riflettere
quantomeno la disinteressata devozione all'interesse collettivo, essa
non garantisce, da sola, il conseguimento dell'utilità nella quale si
sostanzia, come si è detto, la buona politica.
Con il risultato che, negli ultimi anni, abbiamo assistito a una
proliferazione di candidati di commendevole probità, privi tuttavia
della competenza e dell'esperienza idonee all'attuazione di un programma
adeguato alle esigenze generali.
Purtroppo parte dell'elettorato, per comprensibili reazioni emotive,
ha creduto in questo miraggio ingannevole, dimenticando che le buone
intenzioni conducono spesso a risultati catastrofici. Perché le virtù
del politico, come insegnava Gibbon, sono essenzialmente diverse: il
cervello per comprendere, il cuore per risolversi e il braccio per
realizzare. L'onestà, come l'intendenza, deve soltanto seguire.
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