martedì 20 settembre 2016

di dibattito, referendum e altre amenità

Chiedo nuovamente venia, se torno su questo spazio a farmi sentire, ma in questi giorni, per vie traverse mi sono trovato spesso a rivangare i miei percorsi politici.
Qualche tempo fa, parlandovi di un libro di Eco, avevo posto il tema sull'odierno dibattito politico, così aspro, permeato di acredine, dove la delegittimazione dell'avversario politico, che diventa nemico da uccidere, e la demolizione dell'altrui operato, diventa fine ultimo, anziché la risoluzione dei problemi e l'elaborazione di percorsi condivisi di progresso. E poi vi è l'esagerazione delle questioni l'esacerbazione delle questioni, azioni utili a nascondere le proprie inconcludenze. Paradigma di tutto ciò è la campagna referendaria sul referendum costituzionale, dove si fronteggiano l'un contro l'altro armati due schieramenti, uno invero più variopinto e brancaleonesco dell'altro, tutti e due intenti alla delegittimazione reciproca, ma sopratutto alla cancellazione politica dell'altro. Di fatto il contenuto referendario passa in secondo piano. E' vero che il Presidente del Consiglio è stato il primo a dare un senso di ordalia alla consultazione, e che come strategia pare non concepisca il concetto "a nemico che fugge ponti d'oro", ma preferisca mettere i suoi avversari in un angolo costringendoli gioco forza a veementi reazioni, ma è altresì vero che i suoi avversari non hanno altro obbiettivo che la sua eliminazione e non già la predisposizione di una proposta alternativa, che in realtà non hanno e in molti casi hanno già dimostrato negli anni precedenti di non essere in grado di concretizzarne una. In ogni caso, è principale responsabilità del Governo (e sarebbe anche suo primario interesse) ricondurre la discussione in canoni di concretezza e civiltà, ammesso ci riesca e sopratutto voglia.
Il dibattito ha  giunto toni anche odiosi, con ovviamente la paventazione della svolta autoritaria da un lato e il declino totale dall'altra. Ed ha  mio avviso conclamato, che comunque vada, il PD non può più essere un punto di riferimento, non avendo un'idea di paese e sopratutto un progetto condiviso. Mi è spiaciuto constatare anche il livello d'imbarbarimento  si è diffuso anche nei dialoghi di ciò che resta nella multiforme comunità socialista, dove si accusa di collaborazionismo col renzismo, vassallaggio, accattonaggio chi vota sì  e ovviamente si pratica l'odiosa pratica di dispensare patenti di socialismo. Il punto più estremo l'ho visto quando simili accuse sono state rivolte al buon Umberto Veronesi, che sostiene il sì. E' venuta meno in quella comunità, anche il rispetto per figure che indubbiamente hanno dato un contributo positivo a questo paese e oggi davvero non hanno bisogno di mendicare nulla, per cui se assumuno una posizione penso che lo facciano proprio per convinzione. Questo evento mi ha fatto tornare alla memoria le parole di 3 vecchi compagni di militanza socialista, uno oggi non c'è più, che imputavano la fine del PSI non già, o non solo, al destino cinico e baro e all'azione "giudiziario-comunista-finanziaria", ma maggiormente al comportamento della comunità socialista, che non seppe, o non volle, fare quadrato attorno al proprio leader, ai dirigenti che fuggirono come naufraghi aggrappandosi alla prima scialuppa utile, ai socialisti in genere che non seppero trovare motivazioni per rimanere uniti, prestando il fianco agli eventi disgregatori. E questo minò per sempre tutti i tentativi nei vent'anni post '92 di "rifare" il PSI, obbiettivo che rimase (e resta) sempre velleitario e antistorico. Io ci ho messo 12 anni, e molte delusioni, per arrivarci. E le discussioni d'oggi me lo confermano.
Dunque, scusate la digressione, abbiamo una riforma costituzionale che va valutata. V'invito a farlo e mi permetto di segnalarvi alcuni dei testi che ho usato io per documentarmi sia sul che sul  No. Oltre che andate a visitare i siti dei comitati per il sì e per il no. I testi che vi ho messo in link sono un po' in "costituzionalese", devo dire che ho imparato che nel fare il "costituzionalista" c'è un livello d'opinabilità quasi sconfortante. Consiglio anche l'ultimo testo del professor Ceccanti, fervente sostenitore della riforma. Poi, quando dovrete tirare le somme, cercate di eliminare i pregiudizi,  non pensando a chi è da una parte o dall'altra, ma leggendo laicamente il testo.
Tiro le somme su quello che ho capito io. Si badi, non voglio convincere nessuno, ma semplicemente esprimere un pensiero.
Sarebbe stato meglio se la si fosse fatta un'Assemblea Costituente per riformare la Costituzione? Indubbiamente SI' e io vorrei essere magro, ma si fanno le cose come si può e con le condizioni che ci sono e l'Assemblea Costituente la fai solo se la stragrande maggioranza della forze parlamentari  d'accordo nel farla. Oggi non è così. Ieri nemmeno, domani neppure. Dubito dopodomani.
La riforma introduce semipresidenzialismi o premierati forti? NO, e per me questo è un peccato, ma si continua a eleggere un parlamento, quindi rimangono salde le regole di oggi. Questo però, rende evidente come l'Italicum sia un po' slegato dalla riforma. Il doppio turno che imita l'elezione del sindaco non ci sta, se non eleggi il capo del governo, rischia solo di fare confusione, altro che governabilità. Circa le preferenze poi, se è vero che tendezialmente mi piace l'idea di scegliere il proprio candidato, è da dire che difficilmente nel nostro paese si potranno sdradicare i fenomeni degenerativi che vi sono collegati. Una legge elettorale a collegi uninominali, con premio adeguato, con correttivi che evitino la frammentazione e magari con primarie di collegio istituzionalizzate, mi parrebbe il compromesso migliore.
La riforma pone un freno al regionalismo "all'italiana"? Beh direi di SI' e solo per questo varrebbe votarla. La pessima riforma del titolo V targata Ulivo (e di cui molti padri sono oggi nel NO) fa sì che ogni regione interpreti come gli pare la normativa in settori essenziali per la vita del paese, creando contenziosi con lo Stato e generando situazioni di disparità, oltre che sperperi evidenti, la riforma riporta allo stato molti ambiti e sopratutto pone cluasole di supremazia (e mette finalmente un tassello per avviare la fine delle regioni a statuto speciale). E' un elemento tutt'altro che secondario, inoltre, riducendo le competenze regionali, si ridurrano gli ambiti dove gli appettiti delle classi regionali si manifestano, dando origine a talune, fin troppo note, derive corruttive.
La riforma mette tempi chiari all'attività del legislatore? Beh SI', renderà più rapido il tempo per approvare una legge, riducendo l'estenuante assemblearismo tipico del nostro paese, dove i problemi si discutono, ma non si risolvono. Inoltre finirà la fiaba delle leggi di iniziativa popolare, che troveranno obbligo di discussione e i referendum? Beh sarà più facile diventino efficaci (finalmente anche propositivi), ma sarà necessario che siano con un maggior supporto popolare per essere indetti - cosa che per me è positiva, poiché dovrebbe finalmente frenare i referendum strumentali o a vanvera, vedi l'ultimo sulle concessioni per le prospezioni d'idrocarburi.
Ci sono elmenti perfettibili? Certo come in ogni cosa, ma approvare la riforma non impedirà di rimetterci mano, cosa che invece farà il NO. Votare No significa che ci vorranno altri 20 anni forse, per riprovare a riformare il paese, il fronte del No, non solo non ha progetti alternativi, ma ha già dimostrato la sua inconcludenza. Votare No, significa buttare questi ultimi 4 anni del paese e il tempo non è una risorsa rinnovabile. Non è una tragedia, significa solo voler continuare a sguazzare in questa palude in cui ci si dibatte da 20 anni.
Questo paese è fermo, mentalmente in primis. Dobbiamo fare qualcosa, qualsiasi cosa. Tutto è meglio che non fare. Altro che No.
Stavolta, con molto pragmatismo e banale senso pratico, io voto Sì.

mercoledì 7 settembre 2016

Il Gioco del Coccodrillo



Altro pregevole intervento del Procuratore Carlo Nordio, su cui dovremmo ben riflettere.

Quando Hitler invase la Polonia, dopo essersi annesso, con la minaccia o con la forza, vari territori confinanti - Austria, Sudeti, Boemia e Moravia Churchill disse che i governi europei avevano fatto il gioco del coccodrillo:  avevano sperato che la bestia divorasse gli altri, senza capire che sarebbero stati mangiati per ultimi. La strategia del coccodrillo è stata seguita, naturalmente in guisa più modesta, dai vari partiti della prima repubblica durante la tangentopoli del ‘92. Incapaci di vincere gli avversari, interni o esterni, con le armi della politica, si sono affidati allo strumento improprio della giustizia penale, inventandosi la favola, moralmente ipocrita e giuridicamente grottesca, che il destinatario dell’informazione di garanzia dovesse, in attesa del giudizio definitivo, essere estromesso dalle cariche e dalle funzioni. Alla fine, come era immaginabile, furono travolti anche loro. Questa strumentalizzazione ingenua e indecorosa si è accentuata nell’era berlusconiana: tutti ricordano l’azzoppamento del cavaliere dopo la notifica, peraltro a mezzo stampa, dell’informazione di garanzia durante un convegno internazionale. Da allora la strategia del coccodrillo ha mietuto vittime praticamente ovunque. I frutti più recenti sono raccolti dai pentastellati, favoriti dalle vicende giudiziarie che hanno annichilito, almeno a Roma, i partiti tradizionali. Benché infatti il programma dei grillini fosse piuttosto vago ed incerto, il loro appello “all’onestà” è stato vincente e convincente. Come logico corollario, essi hanno proclamato, con solennità palingenetica, che anche la semplice iscrizione nel registro degli indagati doveva esser motivo di allontanamento o di rinunzia alla candidatura. Il coccodrillo era sazio. In realtà il coccodrillo non si sazia mai. Ed ora, con la vicenda Muraro, l’appetito è ritornato. Per porvi un freno, gli amministratori romani fanno quello che hanno fatto tutte le vittime precedenti: attribuiscono all’informazione di garanzia il suo connotato fisiologico originario, peraltro desumibile dalla sua stessa struttura lessicale: un atto dovuto, a tutela di chi lo riceve. E quindi niente dimissioni, si vedrà a indagini concluse. Salvo il fatto che la Muraro ha omesso di informare che aveva avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati. E adesso fa tardivi distinguo lessicali con l’avviso di garanzia. Apprendiamo il “revirement” con duplice esultanza: come modesti giuristi, perché questo concetto lo abbiamo sempre sostenuto, attirandoci le ire delle vestali del giustizialismo; e come cittadini, perché pensiamo che le sorti degli eletti dal popolo non debbano dipendere dalle aleatorie e dilatorie vicende processuali. Tuttavia questa lodevole conversione garantista è contaminata, e forse compromessa, da due eventi deplorevoli. Il primo, costituito dagli attacchi indecenti rivolti a Cantone, al quale lo stesso sindaco aveva chiesto un parere sulla regolarità della nomina della dottoressa Raineri. La quale, dimessasi tra mille polemiche, ritornerà presumibilmente a fare il giudice. Un colossale pasticcio che dimostra, tra l’altro, quanto sia urgente disciplinare l’incompatibilità di una toga con qualsiasi altra carica extragiudiziale. Il secondo, costituito dall’ennesima attribuzione ai soliti “poteri forti” di una volontà complottistica volta a sabotare la giunta neocostituita. Un espediente puerile, che dimostra l’inavvedutezza critica di chi è stato investito, senza adeguata esperienza e preparazione, del potere di governare una città tanto complessa. Sui cui destini già si riprende a gemere. Sperando che non siano, tanto per restare in tema, lacrime di coccodrillo.

Carlo Nordio
Gazzettino del 6 settembre 2016

sabato 13 agosto 2016

Pape Satan, pape Satan Aleppe...

Ho appena concluso la lettura di Pape Satan Aleppe di Umberto Eco. Ultimo suo libro. Da qui il titolo del post. Con questa lettura ho colmato una mia lacuna letteraria, non avendo mai letto un libro (articoli e interviste sì, libri mai), di Eco. Leggendolo mi sono venute in mente alcune considerazioni, che ho voglia di condividere qui, il libro è una raccolta di 20 anni circa di "Bustine", ossia degli interventi di Eco, nella sua rubrica sull' "Espresso". In questi brevi interventi, dice la sua su tempi che corrono, su vari aspetti, dalla Filosofia, alla Scienza, alla Politica, al Costume, alla Comunicazione, etc etc... Devo dire che in molte osservazioni mi ci ritrovo e altre sono state illuminanti. Ve ne consiglio la lettura, libro corposo, ma di facile lettura e di bello stile. Passato lo spot editoriale, c'è un tema tra quelli trattati che mi sta a cuore. L'uso del linguaggio e l'obbiettività. In più di una bustina Eco osserva come ultimamente siamo fuori misura un po' su troppe cose, non chiamandole con il loro nome, o accapigliandoci su questioni davvero effimere, tendendo all'esasperazione della faziosità e dei termini. Sulla questione più modestamente avevo scritto anch'io, nel mio eremo virtuale (il mio blog personale). Ed è visibile bene anche in questi giorni. Sul tema referendum costituzionale, per esempio, dove ormai si scontrano due fazioni in armi, pronte a tutto. I sostenitori del NO paventano lo scempio della Costituzione, il ritorno dell'Uomo forte, e una sorta di Erdoganizzazione dell'Italia (che da noi sarebbe una Renzizzazione), il primo passo per il totalitarismo... I sostenitori del Sì tacciano di bieco oscurantismo e inconcludenza gli avversari e ovviamente paventano la paralisi del paese se passa il No, con crolli della nostra economia e della nostra credibilità a livello del sistema solare  (saremmo alla stregua di Plutone, planetoide notoriamente inaffidabile). Ovviamente in questa discussione ragionare è impossibile, chi lo fa è passibile di essere accusato di collaborazionismo col nemico.  Se ne conclude che comunque vada questo referendum il giorno dopo o saremo in dittatura o saremo "a cartoni". Verrebbe da dire che l'unica soluzione sia l'espatrio. Personalmente sul referendum sto meditando, e magari più avanti ne condividerò gli esiti (so che non interessa, ma trovo giusto dare il mio contributo a riempire la rete con riflessioni saccenti). Ora questo modo di porsi non è relegato solo agli esponenti e ai temi nazionali, ma arriva a cascata a livello di singolo elettore, tutti quelli che si sentono "parte" sentono il dovere di intervenire, ma sopratutto di intervenire con il coltello tra i denti. Per cui se uno niente niente dice a mezzabocca un'opinione diverse, magari sui social, diviene giusto subissarlo di contumelie e sopratutto additarlo al pubblico ludibrio. Se l'altro è anch'egli "parte" altra, reagirà pesantemente. La cosa che mi colpisce è che poi tali discussioni non rimangono relegate alle agorà virtuali dei social, ma ne escono, guastando i rapporti interpersonali. Per me ciò, cresciuto nelle riunioni di sezione del PSI di Oriago, dove ho letteralmente visto volare sedie, ma che poi si concludevano sempre al bar tra brindisi e risate, e dove alla fine ci si salutava con "notte compagni aea prossima", tutto questo è difficilmente comprensibile. E non posso dire di non averlo vissuto in prima persona. 
Ricordo verso la fine della mia esperienza in politica attiva, durante il dibattito per l'avvio della Città Metropolitana di Venezia, che i detrattori, tra cui va detto, per esempio chi governa Mira ora (e fiancheggiatori), paventavano una sostanziale "fascistizzazione" delle istituzioni locali, la fine della rappresentanza democratica, minacciavano le vie legali, l'incostituzionalità e via dicendo. Nel frattempo chi voleva entrare nel merito era sbertucciato e magari si cercava di non farlo parlare negli incontri pubblici. In talo modo si evitò di porre questioni concrete e di elaborare una posizione chiara. Intanto la città metropolitana è arrivata e non mi pare che il cittadino medio abbia perso particolari libertà... La domanda sorge spontanea: "e' servito questo atteggiamento?" "E' stato utile per il territorio?" E nel frattempo si è pure perso per strado il dibattito sulla Città della Riviera del Brenta, che in seno alla città Metropolitana avrebbe ben altro ruolo. Troppo spesso i nostri Sindaci si dichiarano incapaci su certe questioni perché "manca i schei" "no ghemo el personale" "i gà zà deciso" "staltri comuni gà zà fatto" e via dicendo. Ma come ho già avuto modo di dire, la città della Riviera nei fatti esiste, ne esistono i cittadini, le criticità, le tematiche, non esiste nei servizi, nelle risorse, nella Politica e nell'Istituzione. Ma si sà per qualcuno piccolo è bello. Probabilmente pensa al proprio intelletto.